Alla fine del 1700 le pinete del Ravennate, si estendevano da sud del
Reno fino a Cervia, praticamente senza soluzione di continuità. Estendendosi
verso l’interno per tratti lunghi dai 2 ai 5 Km. Oggi, dei 7417 ettari di
pinete stimati da Ginanni alla fine del '700, ne restano meno di 2300. Molto
probabilmente la più antica pineta del Ravennate fu impiantata all'epoca
di Augusto vicino al porto di Classe per rifornirlo di legname con cui costruire
moli, palafitte e case. Essa venne poi ulteriormente estesa sui cordoni
di dune di nuova formazione ad opera delle comunità monastiche medioevali.
La "Pineta" è poi divenuta col tempo un monumento naturale dove si incontrano
interessi scientifici e memorie letterarie: è certo, per esempio, che Dante
si ispirò alla pineta di Classe descrivendo "la divina foresta spessa e
viva"; ma anche Boccaccio, Dryden e Byron sentirono in misura diversa la
suggestione profonda di questo luogo. (25) Al di là dei fatti storici, infatti
è assodato che il pino domestico in questi luoghi si trova al limite della
sua ampiezza ecologica e senz'altro al di fuori del suo areale naturale,
di distribuzione_(1). Alle soglie dell'ottocento la
pineta, dopo le cure secolari dei monaci di S. Vitale, si estendeva dal
Lamone al Savio con larghezze variabili da 2 a 5 chilometri.
Pinus Pinea
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Pinus pinaster
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Quercus ilex
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Oggi purtroppo ne rimangono solo tre piccoli nuclei residui: la pineta di
S. Vitale, a nord, nord-est di Ravenna; la pineta di Classe, a sud, sud-est
della stessa città e la pineta di Cervia. In tutti i casi si tratta comunque
di sistemi forestali eterogenei che, a causa non soltanto delle opere umane
ma anche della morfologia del suolo, definito da un alternarsi di antiche
dune e delle loro corrispondenti depressioni interdunali, che a seconda
delle diverse specifiche condizioni ideologiche ne condiziona in modo evidente
il diverso riunirsi delle specie presenti.
Nella pineta di S. Vitale il pino domestico è inserito in una vegetazione
distinta in due comunità principali, collegate da comunità di transizione:
un bosco xerofilo con Quercus ilex, Phyllirea angustifolia, Ruscus aculeatus
e un bosco decisamente "umido" (igrofilo) dominato da Populus alba e Fraxinus
oxycarpa e, soprattutto, Quercus robur. Nella pineta di Classe invece la
composizione floristica della lecceta è più evidente: si osservano con maggiore
frequenza specie decisamente mediterranee come Clematis viticella, Clematis
flammula, Smilax aspera e Lonicera etrusca. La pineta litoranea di Cervia
(pineta Statale), infine, sorse nel 1927 grazie ad una Legge del Sen. Luigi
Rava, a compensare il contemporaneo taglio di parte degli alberi della vicina
più antica pineta di Classe e per riportare la pineta di Ravenna a crescere
sul nuovo litorale in formazione. A circa 200 metri dal mare si osservano
densi impianti di Pino marittimo, gradualmente sostituito verso l'interno
da pino domestico, specie meno rustica della precedente. La larghezza di
questa fascia varia tra i 300 ed i 500 metri. _(10)_(11).
Il sottobosco arbustivo delle nostre pinete costiere, è poi costituito in
prevalenza da ginepro e olivello spinoso, che hanno tra l’altro una importantissima
una funzione protettiva per le giovani piantagioni ed un effetto positivo
su tutto l’equilibrio vegetazionale e faunistico della pineta. _(25)
___
_(2)
LE PINETE COSTIERE ADRIATICHE
Osservando in tempi successivi un determinato paesaggio vegetale, si può
notare come col passare del tempo questo volga a trasformarsi spontaneamente
in altre forme di vegetazione. Queste poi a loro volta possono mutare ed
evolvere ulteriormente andando a creare situazioni vegetazionali ulteriormente
diverse.
Le prime specie di piante che si insediano sul terreno nudo vengono giustamente
dette "specie pionere". Si tratta di piante che presentano eccezionali adattamenti
agli ambienti inospitali, ma ben poca "lungimiranza vitale". Crescendo su
suoli estremamente poveri di sostanze nutrienti, o addirittura in assenza
di suolo, con il proprio decadimento e decomposizione non fanno altro che
migliorare le condizioni ecologiche del loro ambiente, arricchendolo proprio
in sostanze nutritive;
così facendo preparano il terreno a specie vegetali più esigenti che, in
tempi più o meno lunghi, verranno a sostituirsi ad esse. Allo spontaneo
avvicendarsi dei diversi tipi di coperture vegetali in un determinato ambiente
si dà il nome di "successione vegetazionale" o "serie di vegetazione" _(1).
Le serie di vegetazione, dunque, rappresentano le fasi successive di una
più o meno lenta trasformazione spontanea, nel corso della quale in un determinato
territorio si succedono forme di vegetazione sempre più complesse; da consorzi
formati solo da specie erbacee si passa a situazioni di vegetazione erbacea,
arbustiva ed arborea. Dopo un certo tempo, in condizioni climatiche sufficientemente
stabili e non estreme, la vegetazione raggiunge uno stadio finale che non
evolve ulteriormente; si è raggiunto così il livello evolutivo più alto
e stabile. Mentre le fasi iniziali delle successioni, essendo molto diverse
fra loro, dipendono fortemente dal tipo di suolo e dal microclima, le fasi
finali sono sempre più correlate al clima di quella regione e tendono progressivamente
a convergere. Per la Pianura Padana la vegetazione finale (climax) si tratterebbe
di un bosco a caducifoglie, probabilmente dominato dalla Farnia (Quercus
robur).
Perché allora esso è così scarsamente rappresentato nelle nostre zone? Perché
ve ne sono solo alcuni frammenti tanto che si possono solo avanzare ipotesi
sulla sua composizione e struttura? Per spiegare questa apparente contraddizione
bisogna introdurre il concetto di 'vegetazione reale' e 'vegetazione potenziale"
di un dato territorio. Definire la prima è molto semplice poiché si tratta
di ciò che noi realmente osserviamo uscendo di casa: una pineta, le canne
che bordano uno stagno, un campo abbandonato. Per la seconda riportiamo
la definizione formulata dal Comitato per la Conservazione della Natura
e delle Risorse naturali del Consiglio d'Europa: "Per vegetazione naturale
potenziale si intende la vegetazione che si costituirebbe in una zona ecologica
o in un determinato ambiente, a partire da condizioni attuali di flora e
fauna, se l'azione esercitata dall'uomo sul manto vegetale venisse a cessare
e fino a quando il clima attuale non si modifichi di molto". Solo negli
ambienti poco o per niente antropizzati quindi la vegetazione può naturalmente
evolvere fino alla massima complessità e stabilità strutturale compatibile
col clima di quella regione; in queste zone la vegetazione reale può essere
assai simile alla vegetazione potenziale. Nella Pianura Padana invece, come
nella maggior parte del nostro territorio, la vegetazione potenziale purtroppo
non è altro che un modello teorico e dobbiamo accontentarci di intuirne
la possibile struttura osservandone sporadici accenni nell'ambito dei boschi
planiziari, fortemente antropizzati, che ancora sono rimasti.
_(2)
_(2)
Alla luce di queste considerazioni vanno analizzate, ma soprattutto gestite, le ultime zone naturali ancora rimaste. _(10)_(11). Le pinete ravennati costituiscono un complesso boschivo caratterizzato da elevata eterogeneità, essendo situate su antichi cordoni dunali separati da depressioni a falda relativamente superficiale e risentendo quindi decisamente delle variazioni del contenuto di acqua nel suolo. Essendo poi situate vicino alla costa risentono notevolmente delle variazioni di salinità della falda. E dagli effetti delle attività umane che, direttamente o indirettamente, influiscono fortemente sulla pineta. Basti citare gli effetti dei vicini insediamenti industriali, i decespugliamenti e l'eliminazione della vegetazione psámmofila per far posto agli stabilimenti balneari. Ma all'azione umana è altresì legata la vita della pineta: ove gli interventi umani di diretta gestione boschiva cessassero, a causa del difficile rinnovamento naturale del Pino domestico in queste zone, come si è detto con il trascorrere del tempo assisteremmo alla progressiva trasformazione della pineta in altre formazioni boschive dominate da specie caducifoglie.
CAUSE DEL DEPERIMENTO DELLE PINETE RAVENNATI
I più recenti studi sulle pinete ravennati tendono ad evidenziare le cause
di un ormai diffuso e progressivo deperimento non solo del Pino, che comunque
in questo contesto sarebbe uno degli elementi più sfavoriti e sofferenti,
ma di tutta la vegetazione arborea presente in queste formazioni. Innanzitutto
bisogna sottolineare l'importantissima funzione di riparo che le dune e
la vegetazione prossima al mare esercitano per la pineta. … Purtroppo spesso
esse sono state completamente eliminate per far posto agli stabilimenti
balneari. Secondo Ferrari (1976): "Non puo sussistere a lungo una formazione
vegetale che venga privata delle formazioni vegetali che le sono territorialmente
vicine e che esprimono degli stadi dinamici ad essa collegati. Nel caso
del sistema litorale ravennate, la pineta rappresenta una formazione vegetale
abbastanza complessa che l'uomo ha favorito nell'ambito di un querceto e
che è preceduta, orlata verso il mare, da tutto un sistema di altre formazioni.
Queste formazioni fanno sì che la pineta, generalmente molto più interna,
venga protetta dall'azione della salsedine (...). Se mancano queste difese
a mare i venti marini agiscono direttamente sulla pineta." _(1).
E che i venti marini, ancor più se inquinati, siano deleteri per il Pino,
lo dimostrano anche gli studi compiuti da Plazzi e Pirola (1974) sull'orientamento
dei rami morti in Pinus pinea, nella pineta di San Vitale. Emerge chiaramente
dall'analisi dell'orientamento dei rami morti come sia sufficiente che vengano
aperti sentieri all'interno della pineta per permettere le ingressioni di
venti freddi da Nord e Nord-Est. Secondo Bregoli (1968): "Un bosco che abbia
l'estensione e la densità che ebbero le pinete in passato, quando a testimonianza
di vecchi cacciatori nemmeno i cani potevano penetrare dovunque nel sottobosco,
conserva un clima costante particolarmente al suolo, e relativamente indipendente
da quello delle aree circostanti. E' contraddistinto da minori escursioni
termiche sia giornaliere che stagionali e dall'assenza di venti violenti
all'interno e di quelle forme di moti turbolenti dell'aria che, secondo
la meteorologia dinamica, sono causate dal vento negli strati inferiori
dell'atmosfera quando il gradiente termico verticale è variabile. La turbolenza
presenta minime variazioni quando il gradiente termico è costante come si
verifica all'interno dei boschi per l'azione protettiva che la densità arborea
ed arbustiva esercita sul suolo. L'importanza di un mesoclima forestale,
al cui mantenimento contribuirebbero, se non venissero asportate, anche
le essenze dello strato arbustivo, è determinante soprattutto per specie
arboree al di fuori del loro areale di spontanea diffusione. Tali considerazioni
sono particolarmente importanti nei riguardi delle nostre pinete dove il
terreno sabbioso è soggetto a forti escursioni di temperatura giornaliera
e stagionale in tutte le aree non sufficientemente protette dalla densità
di copertura vegetale. Invece l'apertura di viottoli, sentieri e strade
che permettono una viabilità nella pineta, apre la strada anche alla penetrazione
nel folto dei venti freddi di tramontana da nord e di bora da nord-est,
nonchè dell'aerosol marino.” _(1)_(2)
Riassumendo, le formazioni erbacee ed arbustive dei primi cordoni dunali
mitigherebbero l'azione della salsedine, particolarmente dannosa per conifere
a foglia pluriennale; la stessa compattezza del bosco impedirebbe l'azione
negativa dei venti freddi di Tramontana e di Bora. _(1).
Un altro fattore ulteriore che concorre a spiegare il deperimento generale
delle pinete è l'innalzamento della falda freatica, che riduce notevolmente
lo spessore del suolo dove si svolge l'assorbimento radicale della flora
arborea. Questo fenomeno è dovuto ad un netto processo di subsidenza cui
l'area ravennate è sottoposta, che comporta un graduale e continuo abbassamento
della superficie del suolo e relativo innalzamento dei livelli di falda.
Da numerose osservazioni sui pini abbattuti è stata sempre notata l'atrofia
del fittone al livello della falda freatica. Ciò viene a confermare che
l'alto livello della falda è la condizione fondamentale che rende impossibile
lo sviluppo normale del sistema radicale di ogni specie arborea con conseguente
diminuzione della resistenza alle avversità climatiche e parassitarie non
appena le radici raggiungono il limite delle acque superficiali. Alla presenza
di una falda troppo superficiale, si aggiunge il suo grado di inquinamento,
particolarmente significativo attorno ai canali di scavo abbastanza recenti,
che mettono in comunicazione il retroterra col mare. L'acqua di falda è
inquinata da cloruro di sodio e da idrogeno solforato: Il cloruro di sodio
proviene dalla percolazione di acque marine che risalgono i canali in connessione
con i cicli di marea, nei periodi di acque alte. L'idrogeno solforato deriva
invece dalla degradazione anaerobica di inquinanti organici diffusi nella
falda dagli stessi canali inquinati, e dalla sostanza organica parzialmente
degradata nella parte superiore del suolo, trasportata alla falda con la
percolazione delle acque meteoriche. La presenza di tali inquinanti tossici
accelera la morte delle radici più profonde e quindi determina il deperimento
degli esemplari forestali più sviluppati. Una falda inquinata condiziona
anche lo sviluppo delle micorrize, particolari forme di simbiosi con numerose
specie fungine che si attuano a livello delle radici, e dalle quali sembra
dipendere la crescita in buona salute di molte piante, comprese le Conifere.
_(25)
Il parassitismo è un altro fattore di primaria importanza concorrente al
deperimento della pineta; descrivere anche per sommi capi l'opera devastatrice
di numerosi insetti e quella più insidiosa dei funghi, ci porterebbe fuori
dell'argomento strettamente trattato, tuttavia è utile mettere in evidenza
che non si salvano da distruzione parassitaria ne le gemme ed i germogli,
ne le foglie e la corteccia o i tessuti legnosi del fusto e delle radici,
ne i fiori e/o i frutti. Bisogna comunque tenere ben presente che gli insetti
ed i funghi che infestano il nostro bosco esistono da tempi remotissimi
ed a ben guardare essi non hanno mai minacciato in modo irreparabile così
ampie porzioni di pineta come successo a partire dall’ultimo dopoguerra.
E' evidente infatti che “naturalmente in natura” esistono i mezzi per contenere
la moltiplicazione entro certi limiti anche di quegli organismi che, come
gli insetti, possono riprodursi in maniera estremamente invasiva e devastante.
Questi fattori limitanti sono costituiti innanzitutto dagli uccelli, dagli
insetti predatori, e dagli animali acquatici. Ma l'uomo purtroppo ha alterato
il delicato equilibrio biologico. Innanzitutto con la caccia e con gli insetticidi
usati su larga scala che hanno condotto a morte numerose specie di uccelli
insettivori. Le zone industriali e le città stesse sono poi certamente delle
ulteriori ed estremamente significative fonti inquinanti per qualsiasi ambiente
naturale situato in loro prossimità; Ed infine ultimo, ma non in ordine
ai danni provocati, viene il gelo che, da solo, in pochi giorni può portare
alla morte di un grandissimo numeri di alberi. _(1)_(11)_(25)
_(13)
Questi pochi esempi sono senz'altro sufficienti a rendere conto della complessità
del problema, e di come sia difficile stabilire quali fattori siano più
deleteri. E' più dannoso l'inquinamento della falda o quello atmosferico?
Distruggono di più i decespugliamenti o i parassiti animali e fungini? Sarebbe
comunque errato attribuire esclusivamente a questi fattori la responsabilità
della regressione del pino domestico in molte aree della pineta. (1). Uno
dei motivi più importanti è infatti perfettamente fisiologico essendo legato
alle esigenze ecologiche del Pino, che può essere considerato specie pioniera,
adatto a suoli iniziali come quelli appunto costituiti da una duna consolidata,
ma non a suoli successivamente più maturi. Il progressivo arricchimento
in specie vegetali ed animali e il conseguente intrecciarsi di molte catene
alimentari porta inevitabilmente ad una maturazione del suolo che diviene
adatto a specie arboree più esigenti, come ad esempio la farnia. L'innalzamento
relativo della falda può favorire inoltre il pioppo bianco e l'olmo, e tutto
ciò a svantaggio del pino che, al di fuori del suo areale naturale, si trova
sfavorito nella competizione con specie più adatte al nuovo ambiente. Se
si vuole continuare a coltivare il pino bisogna farlo in aree adatte, con
suoli possibilmente iniziali come quelli sabbiosi.
E non a caso in molte aree della pineta di Cervia, dove le differenze pedologiche
con quella di S.Vitale sono notevoli, il pino vegeta ancora molto rigoglioso;
ed analoghe considerazioni possono essere fatte per le pinete demaniali,
piantate all'inizio di questo secolo sui più recenti cordoni dunali del
litorale ravennate. Nella pineta di San Vitale invece la vegetazione sta
evolvendo verso formazioni più mature che, quasi sicuramente culmineranno
in un bosco di latifoglie. Ed è opinione diffusa che questa tendenza non
vada ostacolata, bensi difesa e rispettata.
Foce del canale Cerba - Piallassa della Baiona (RA)
DIFESA DELLE PINETE LITORANEE
In linea generale i provvedimenti da adottare per la difesa la pineta si
possono riassumere così:
1. Bonifica idraulica che adatti il sistema generale di scolo alle nuove
esigenze determinate dall'abbassamento del suolo;
2. Gestione degli sbarramenti dei canali che attraversano la pineta affinchè
siano impedite la penetrazione e l'infiltrazione delle acque marine;
3. Nei rimboschimenti scelta delle specie più adatte per le varie zone,
per la natura del suolo e l'esposizione alle correnti atmosferiche;
4. Divieto di pascolo e caccia: nel primo caso si evita la distruzione di
molte piante giovani, nel secondo si facilita il ritorno a quell'equilibrio
biologico che è condizione necessaria per la difesa dal parassitismo.
5. Monitoraggio e diminuzione dell'inquinamento atmosferico e idrico da
parte degli stabilimenti industriali. _(25)